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David LaChapelle firma il Calendario LAVAZZA 2020

David LaChapelle, 56 anni grande genio  post-moderno e rinascimentale, uno dei più importanti fotografi americani in attività,  si trova a Venezia per presentare il calendario 2020 Lavazza: Earth CelebrAction.

 

Francesca Lavazza, membro del board Lavazza, riassume così il progetto: «Prendersi cura dell’ambiente è una forma d’arte, così abbiamo scelto con David 12 verbi e 12 mesi per celebrare il pianeta, ma anche per chiedere a tutti di partecipare attivamente alla sua preservazione nell’anno degli Obiettivi 2020 delle Nazioni unite».

Gli scatti sono immagini di puro realismo magico: mostrano una gloriosa ed esplosiva bellezza umana immersa nella natura della Hawaii, dove ora LaChapelle vive. Nel 2006 ha abbandonato il mondo della moda (aveva iniziato a frequentarlo a 17 anni grazie a Andy Warhol, che lo scoprì allo Studio 54), perché stufo di celebrità e sovrastrutture. Nel frattempo ha abbracciato una fede spirituale tutta sua, trasferendosi a Maui, e lavorando a progetti più personali e artistici, sempre mantenendo il suo stile pittoresco, sintesi tra spiritualità e materialismo.

Vent’anni fa ha contribuito a cambiare la cultura dell’immagine, glorificando moda e celebrità. È stato celebrato, copiato e criticato. Crede che la fotografia possa ancora cambiare le cose, o ha perso questo ruolo?
«Non ho mai pensato di cambiare nulla. Né allora né oggi. Credo nella bellezza, non nello choc: ciò che è pensato per choccare invecchia male».

Eppure le sue opere, sacre e profane allo stesso tempo, fanno sempre discutere. Perché? 
«Perché la bellezza non deve essere mai banale. E l’arte deve sfidare i preconcetti: bisogna togliere l’iconografia religiosa dalle mani dei fanatisti, e il nudo al monopolio della pornografia. Cerco di avere sempre una visione ottimistica, che offra ispirazione».

È la missione di questi scatti per il calendario Lavazza?
«Ho unito persone, modelli e modelle, alla natura. Alle Hawaii ho potuto ricreare un giardino dell’Eden. Gli scatti sono immagini in cui volersi immergere. Scappare dentro una foto, e ritrovarsi con aria pulita, niente plastica, a fianco di Madre natura».

Giugno — Sustain

Il cambiamento climatico lì non esiste?
«Esiste eccome. Quest’anno ho notato che sull’isola le piante stanno morendo. E tanti animali stanno scomparendo. Ma nelle foto ho voluto togliere il cambiamento climatico, perché c’è già tanta consapevolezza, ora l’arte deve avere il ruolo di mostrare la bellezza che potremmo perdere».

È spaventato per il futuro?
«La paura è l’inverso della fede, e ora io ho fede: non puoi che essere positivo se scegli la fede. L’estinzione può fare paura, ma è anche vero che la natura sopravviverà a noi. Non possiamo sentirci in colpa e basta per la situazione ambientale, dobbiamo far prevalere il buon senso e l’ottimismo».

Non basta il buon senso, però.
«Vero, ma se nel mio Paese non riescono a risolvere nemmeno la questione delle armi, figurarsi il problema ambientale».

New York e Hawaii. Pop art e isole vergini. Come costruisce il suo immaginario? 
«Funghi allucinogeni e chicchi di caffè».

Il caffè lo cita per questioni di sponsor?
«No».

Ma gli scatti come nascono? Si lascia ispirare dalla location o li immagina prima?
«A volte le idee mi arrivano dal luogo, ma spesso disegno la scena prima, su dei fogli, pensando già anche ai colori. Poi magari, provando gli scatti, mi rendo conto che qualcosa non funziona, e allora faccio dei cambi in corsa».

Agosto — Nourish

Celebrità, attori, modelle. Sono queste le nostre nuove divinità? 
«Non per me di certo. Ma le persone hanno bisogno di aggrapparsi a qualcosa in cui credere».

Non le manca la vita frenetica?
«Alle Hawaii ho riscoperto un modo di lavorare famigliare, spirituale. Prima degli scatti ci abbracciamo tutti, lì è una tradizione, una preghiera di gruppo per il lavoro che si sta per fare».

Quindi si pente del suo passato?
«È un’evoluzione, le mie foto sono tutte parte di una storia con diversi capitoli della mia vita. Ora sono più bilanciato, più solitario».

Si ricorda il primo servizio fotografico che ha fatto?
«Ricordo quando ero al college, avevo 17 anni, e ho ritratto i miei compagni di dormitorio nudi, con pose molto rinascimentali, ispirato da Michelangelo. Bellissimo».

Andy Warhol come mentore. Cosa le ha trasmesso?
«Mi disse fin da subito: “Fai quello che vuoi, ma fallo bene”. Erano gli anni in cui lui non era ancora riconosciuto come un grande: era solitario, molto umile, e mi ha trasferito quel modo di lavorare».

Marzo — Realize

Che consiglio darebbe ai giovani fotografi che oggi si ispirano a lei, la copiano?
«Fate i pittori».

Sembra poco incoraggiante.
«No, lo dico dalla prospettiva artistica: oggi la fotografia fa più fatica a emergere, e il mondo della pittura è cambiato così tanto che è lì il settore dove si può fare arte davvero».

E se diventasse cieco da un giorno all’altro?
«Mi dedicherei alla musica, senza dubbio e senza nessuna paura: le emozioni sono molto simili a quelle che voglio trasmettere con le mie fotografie: passione, bellezza, ispirazione».


David LaChapelle e Francesca Lavazza all’evento di presentazione del calendario 2020 (foto Andrea Merola/ANSA).

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